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Non meno indifferenziati sono i libri. Quelli di narrativa hanno tutti lo stesso argomento, con tutte le permutazioni immaginabili. Quelli di carattere filosofico contengono invariabilmente la tesi e l'antitesi, il rigoroso pro e contra di ciascuna dottrina. Un libro che non includa il suo
antilibro è considerato incompleto.
Secoli e secoli di idealismo non hanno mancato di influire sulla realtà.
Non è infrequente, nelle regioni più antiche di Tlön, la duplicazione degli oggetti perduti. Due persone cercano una matita; la prima la trova, e non dice nulla; la seconda trova una seconda matita, non meno reale, ma meno attagliata alla sua aspettativa. Questi oggetti secondari si chiamano hrönir, e sono, sebbene di forma sgraziata, un poco più lunghi. Fino a non molto tempo fa, i hrönir furono creature casuali della dimenticanza e della distrazione. Alla loro produzione metodica - sembra impossibile, ma così afferma l'"undicesimo volume" - non s'è giunti che da cento anni.
I primi tentativi furono sterili. Il modus operandi merita d'essere ricordato. Il direttore di una delle carceri dello stato comunicò ai detenuti che nell'antico letto d'un fiume v'erano certi sepolcri, e promise la libertà a chi facesse un ritrovamento importante. Durante i mesi che precedettero gli scavi, furono mostrate ai detenuti fotografie di ciò che dovevano ritrovare. Questo primo tentativo mostrò che la speranza e l'avidità possono costituire una inibizione; in una settimana di lavoro con la pala e con il piccone, non si riuscì ad esumare altro hrönir che una ruota arrugginita, di data anteriore all'esperimento. La cosa fu mantenuta segreta e fu poi ripetuta in quattro istituti di educazione. In tre, l'insuccesso fu quasi completo; nel quarto il cui direttore morì casualmente durante i primi scavi) gli scolari esumarono - o produssero - una maschera d'oro, una spada arcaica, due o tre anfore dl coccio, e il torso verdastro e mutilato d'un re, recante sul petto un'iscrizione che non s'è ancora potuta decifrare. Si scoprì in tal modo come la presenza o testimoni a conoscenza del carattere sperimentale della ricerca, costituisca una controindicazione... Le investigazioni in massa producono oggetti contraddittori; oggi si preferiscono i lavori individuali e quasi improvvisati. La produzione metodica dei hrönir (dice l'undicesimo volume) ha reso servizi prodigiosi agli archeologi. Essa ha permesso di interrogare e perfino dl modificare il passato, divenuto non meno plastico e docile dell'avvenire. Fatto curioso: i hrönir di secondo e di terzo grado - i hrönir derivati da un altro hrönir: quelli derivati dal hrön di un hrön - esagerano le aberrazioni del hrön iniziale; quelli di quinto, ne sono quasi privi; quelli di nono, si confondono con quelli di secondo; quelli di undicesimo, hanno una purezza di linee non posseduta neppure dall'originale.
Il processo è periodico: Il hrön di dodicesimo grado comincia già di nuovo a decadere. Più strano e più puro di ogni hrön è talvolta l'ur: la cosa prodotta per suggestione, l'oggetto evocato dalla speranza. La gran maschera d'oro cui ho accennato ne è un illustre esempio.
Le cose, su Tlön, si duplicano; ma tendono anche a cancellarsi e a perdere i dettagli quando la gente le dimentichi. E' classico l'esempio di un'antica soglia, che perdurò finché un mendicante venne a visitarla, e che alla morte di colui fu perduta di vista. Talvolta pochi uccelli, un cavallo, salvarono le rovine di un anfiteatro.
1940, Salto Oriental
Poscritto del 1947. - Ho riprodotto l'articolo precedente come apparve nell'Antologia de la literatura fantastica, 1940, senz'altra esclusione che di alcune metafore d'una specie di riassunto burlesco che oggi risulterebbe fuori di luogo. Sono accadute tante cose da allora... Mi limiterò a farne cenno.
Nel marzo 1941, in un libro di Hinton che aveva appartenuto a Herbert Ashe, si trovò una lettera manoscritta di Gunnar Erfjord. La busta recava il timbro postale di Ouro Preto; la lettera chiariva interamente il mistero di Tlön. Il suo testo conferma le ipotesi di Martinez Estrada. La splendida storia cominciò una notte di Lucerna o di Londra, al principio del secolo XVII. Una società segreta e benevola (che contò tra i suoi affiliati Dalgarno, e poi George Berkeley) sorse per inventare un paese. Nel vago programma iniziale figuravano gli "studi ermetici", la filantropia e la cabala. A questo primo periodo risale il curioso libro di Andreä. In capo ad alcuni anni di conciliaboli e di sintesi premature, si comprese che una generazione non bastava per articolare un paese. Si decise che ciascuno dei maestri che formavano la società si sarebbe scelto un discepolo per la continuazione dell'opera. Questo ordinamento ereditario venne osservato.
Poi, dopo uno iato di due secoli, la confraternita risorge in America. Nel 1824, a Memphis (Tennessee) uno degli affiliati parla con l'ascetico milionario Ezra Buckley. Quest'ultimo lo sta a sentire con un certo sprezzo,e si ride della modestia del progetto. Dice che in America è assurdo inventare un paese, e propone l'invenzione di un pianeta. A questa idea gigantesca ne aggiunge un'altra, figlia del suo nichilismo: quella di mantenere il silenzio sull'enorme impresa. Circolavano allora i venti volumi della prima Encyclopaedia Britannica; Buckley suggerisce un'enciclopedia metodica del pianeta illusorio. Lascerà al pianeta i suoi filoni auriferi, i suoi fiumi navigabili, le sue praterie solcate dal toro e dal bisonte, i suoi negri, i suoi postriboli e i suoi dollari, ma a una condizione:
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